Nel settembre del 2015, un giovane uomo di Borgo d’Ale, in provincia di Vercelli, decide di togliersi la vita. Si chiamava Andrea Natali, aveva 26 anni, lavorava come carrozziere. Non aveva una vita pubblica, non era un influencer o un personaggio noto. Ma la sua fine ha lasciato una traccia profonda per chi ha avuto il coraggio di ascoltarne la storia: quella di una vittima di cyberbullismo, schiacciata dalla crudeltà, dal silenzio e dall’indifferenza.
Dal lavoro al dramma psicologico
Tutto comincia il 22 ottobre 2013, quando Andrea rientra a casa dal lavoro in stato di choc. I colleghi della carrozzeria in cui lavorava lo avevano preso di mira: insulti, prese in giro, derisioni continue. La pressione psicologica divenne insostenibile. Andrea non tornò mai più in quel luogo.
Col tempo, la paura di incontrare i suoi aggressori si trasformò in terrore generalizzato. Non usciva più da solo, si sentiva costantemente osservato, giudicato. Temeva la gente del paese, il mormorio, la vergogna.
L’umiliazione pubblica
Nel 2014, la persecuzione raggiunge il culmine: Andrea viene fisicamente aggredito, gettato in un cassonetto con una busta in testa mentre i suoi aggressori lo filmano ridendo. Il video viene poi caricato su Facebook, su una pagina creata ad hoc per umiliarlo pubblicamente. La scena, crudele e disumana, diventa virale tra i conoscenti. Le risate virtuali diventano per Andrea una condanna sociale.
Secondo gli psicologi che lo seguivano, Andrea era profondamente depresso. Il trauma non era più solo psicologico: si era trasformato in un costante stato di allerta, vergogna e isolamento.
Il tentativo di reagire
Spinto dalla sua famiglia e da una psicologa che lo seguiva con attenzione, Andrea decise di denunciare quanto accaduto alla Polizia Postale di Biella. Gli agenti individuarono i video, risalirono all’autore della pubblicazione – un suo ex collega – e fecero rimuovere i contenuti da Facebook e YouTube.
Ma per Andrea, quel gesto di coraggio arrivò troppo tardi. Il peso di quanto aveva subito negli anni, il senso di umiliazione e la mancanza di giustizia sociale, avevano già lasciato segni profondi. Il settembre del 2015, Andrea si tolse la vita, impiccandosi nella sua abitazione.
Un fallimento collettivo
Dopo la tragedia, la psichiatra Donatella Marazziti, direttrice scientifica della Fondazione BRF, dichiarò:
“Il suicidio del ragazzo di Vercelli è un’ennesima sconfitta per tutti noi. Il cyberbullismo annienta psicologicamente le vittime, portando a un progressivo abbattimento dell’autostima, fino a giungere alla depressione. Non vi è una politica seria di repressione e prevenzione del fenomeno: si interviene solo il giorno dopo.”
Le parole della dottoressa riflettono un dramma più grande: oltre 200.000 ragazzi in Italia sono vittime di cyberbullismo, spesso senza tutela, senza ascolto, senza giustizia.
Una memoria da proteggere
Andrea Natali non era un numero. Era una persona. E la sua storia non deve restare confinata tra le pieghe della cronaca locale. È una testimonianza di quanto l’odio, il bullismo e l’indifferenza possano distruggere. Di quanto sia urgente educare, prevenire, intervenire prima, non solo dopo una tragedia.